
La voce riproduce quello che l’orecchio sente
Questa citazione di Walter Passerini (1948 – 2025) scritta sul nostro calendario dell’ascolto ci ha accompagnato per tutto il mese di ottobre, consegnandoci un messaggio molto importante: attribuiamo uno o più significati alle parole che ascoltiamo, in base ai suoni che riconosciamo. Parafrasando, potremmo riformulare la frase in “noi comunichiamo ciò che percepiamo” oppure con un messaggio più profondo “noi siamo quello che ascoltiamo”.
Suoni familiari
Proviamo a riflettere su questo concetto, traducendo la parola “grazie” in altre lingue: thank you, merci, gracias, danke, obrigado, esker, kiitos, takk, dziękuję, köszönöm, hvala, eυχαριστώ, cпасибо, дякую, благодаря, mulţumesc, teşekkür ederim, taing, diolch, asante, na gode, jërëjëf, salamat po,terima kasih, شكراً, 谢谢, ありがとう, 감사합니다.
- Quante di queste pronunce ci sono familiari?
- Quali lingue riconosciamo in queste traduzioni?
- Con che frequenza ci confrontiamo con altre lingue?
I significati che attribuiamo alle parole che ascoltiamo, diventano i suoni riprodotti della nostra voce. Per Burley-Allen (2003) un grazie suona sempre meglio nella propria lingua madre. Accogliere una persona con un suono a lei famigliare non ha prezzo, e forse chi ha studiato/lavorato all’estero può cogliere subito l’importanza di questa cortesia. La bravura di un commerciale è proprio quella di ampliare e potenziare il repertorio di suoni capaci di stimolare una curiosità reciproca e un coinvolgimento. In un mondo all’apparenza più caotico e rumoroso del solito, abbiamo bisogno di allenare un ascolto politeista, in grado di riconoscere le sfide del futuro. Se da un lato siamo sempre più condizionati da algoritmi intelligenti guidati da un approccio calcolatore, dall’altro diventa prioritario concentrarsi su ciò che solo un orecchio umano può percepire.
Sintonizziamoci sulla colonna sonora
Siamo spesso immersi in ambienti saturi di vibrazioni acustiche, la cui percezione uditiva dipende dal nostro vissuto e dall’attenzione che concediamo a ciò che ci circonda. Sclavi (2003) ci sottolinea quanto i rumori, i suoni e le voci con cui siamo cresciuti riescano a determinare la fiducia che diamo alla nostra vita. Quando i nostri timpani sono raggiunti dalle vibrazioni di un rumore inaudito, corriamo il rischio di distrarci e perdere il focus su chi conversa con noi. Indirizzando questa affermazione verso i nostri clienti, può essere utile chiederci:
- qual è la colonna sonora della loro vita?
- in cosa li stimoliamo con la nostra voce?
- con che domande entriamo in sintonia?
Per rispondere, è opportuno soffermarsi sulla persona e non sul rumore che emette. Grazie all’ascolto riusciamo a costruire una relazione più stabile, che il tempo può trasformare in una rendita. Nel capitolo 8 RUMORI DI FIDUCIA provo a spiegare come i gesti e le parole che condividiamo con gli altri generano un riconoscimento acustico in grado di condizionare la fiducia e i comportamenti in una relazione.
Non mi resta che augurarvi buon ascolto.




